Fin dal 1400 l'oltretomba dantesco era stato esaminato da vari studiosi, tra cui il fiorentino Antonio Manetti, matematico e «studioso di cose cittadine», le cui analisi circa la topografia della Commedia avevano poi fornito l'impalcatura ragionata per un "dialogo" sull'Inferno tenuto all'inizio del '500 da Girolamo Benivieni. Le conclusioni a cui erano giunti i due letterati circa la struttura dell'Inferno erano poi state divulgate attraverso il commento di Cristoforo Landino alla Commedia, che era stato adottato ufficialmente dall'Accademia Fiorentina come testo di riferimento. Quando il Vellutello mise però in dubbio l'analisi "geografica" del Manetti, l'Accademia affidò la confutazione delle sue tesi a Galileo Galilei, che tra la fine del 1587 e i primi del 1588 vi tenne due lezioni circa la figura, il sito e la grandezza dell'Inferno dantesco, probabilmente su invito del console Baccio Valori, che l'aveva esortato a prendere le parti dell'Accademia. Il Nostro accettò con entusiasmo, probabilmente più per prestigio che per mero interesse letterario (in tutta la sua opera successiva citerà il Sommo Poeta solo un paio di volte e di sfuggita), e le sue due lezioni, un vero e proprio condensato di sapienza scientifica, numerologica ed iniziatica, costituiscono ancora oggi una pietra miliare nel panorama degli studi danteschi.