Arturo aprì la porta ed entrò, seguito da un giovane che si tolse, con gesto goffo, il berretto. Costui indossava un rozzo vestito da marinaio, che stonava in mondo singolare con quell'hall grandioso.
Il copricapo lo imbarazzava molto, e già egli se lo ficcava in tasca, quand'ecco Arturo toglierglielo dalle mani, con un gesto così naturale, che il giovanotto intimidito ne apprezzò l'intento: «Si capisce!... - disse fra sè, - mi ha aiutato a trarmi d'impaccio.»
Camminava sulle calcagna dell'altro, ondeggiando colle spalle e inarcando le gambe sull'impiantito, senza volerlo, come per resistere a un rullìo immaginario. Quelle sale spaziose sembravano troppo anguste al suo cammino, ed egli era addirittura spaventato dal timore di collusioni delle sue larghe spalle con gli stipiti delle porte o con i ninnoli delle mensole. Si scostava bruscamente da un oggetto per isfuggirne un altro e si esagerava i pericoli che in realtà erano solo nella sua immaginazione. Fra il pianoforte a coda e la grande tavola centrale sulla quale erano accatastati innumerevoli libri, avrebbero potuto procedere di fronte una mezza dozzina di persone; eppure egli vi s'arrischiò con angoscia. Non sapeva dove tener le mani e le braccia che gli pendevano pesantemente lungo i fianchi, e quando nell'immaginazione atterrita gli si prospettò la possibilità di sfiorare col gomito i libri della tavola, egli scartò così bruscamente, che mancò poco non rovesciasse lo sgabelletto del pianoforte.