Dopo la benedizione, ogni domenica, la vecchia Barbara riscalda sulle ceneri una pignattella di caffè, che sorbe in piedi nella cucina non sua, dove frignano e chiassano una mezza dozzina di bimbi; e anziché salire la scala per raggiungere la sua stanza attigua al fienile, sguscia dalla porta come un'ombra, tanto è piccola e magra, e va a trovare mamma Rigoc: mezz'ora di salita tra campi di patate e di segala.
Di solito, le due vecchie siedono sulla panchina a ridosso della casa piantata solidamente nel cuore dell'orto, a due piani sormontati da un'altana, con un portale che fa un gran buco nella facciata.
Ci vuole proprio che il freddo scivoli dentro i fazzoletti annodati sulle due teste e vinca il grosso frustagno delle giacche e lo spessore delle tante gonne sovrapposte, per deciderle a rifugiarsi vicino al focolaio su cui i fascetti umidi borbottano e scoppiettano finché riescono a curiosare, allungando lingue di fuoco, nel mistero fuligginoso della cappa.
Mamma Rigoc è parca di parole; poiché a voler gettare fuori tutto il veleno che accumula in settimana, sarebbe un guastarsi anche la domenica in cui può tenere le mani in croce. Del resto, usa vuotarsi l'anima nel momento buono, dove capita, e sul muso di chiunque: che per dire il fatto proprio non si ha da avere soggezione.
Bella novità raccontare che la nuora poltrisce nel far merletti, nell'aggiustare nastri sulle cuffie e nel lucidarsi le unghie come le maniglie, quando son cose che le sanno tutti.